La Polizia di Stato (in precedenza Corpo delle guardie di pubblica sicurezza e Corpo delle guardie di città) è una delle quattro forze di polizia italiane direttamente dipendente dal Dipartimento della pubblica sicurezza, del Ministero dell’interno.
Costituisce autorità nazionale di pubblica sicurezza e vigila sul mantenimento dell’ordine pubblico. Al vertice vi è il capo della polizia – direttore generale della pubblica sicurezza.
Le origini dell’amministrazione della pubblica sicurezza dello Stato italiano vengono fatte risalire al re del Regno di Sardegna Carlo Alberto, che la costituì nel 1843 come amministrazione civile. Nella riorganizzazione dello Stato sabaudo, alla diffusione territoriale delle forze di controllo militare, espletata dapprima tramite i granatieri di Sardegna poi solo dai Reali Carabinieri, poi solo questi fu affiancata una struttura civile composta da “delegazioni di Polizia“. Tuttavia, la peculiarità delle esigenze di questi, unitamente all’osservazione di quanto andava sviluppandosi in altri stati, richiese l’istituzione di forze armate appositamente dedicate a funzioni di polizia, preferibilmente svincolate da taluni degli obblighi tipici delle forze militari tradizionali. I primi corpi che diedero vita alla polizia dell’epoca furono la “Milizia comunale” e la “Guardia nazionale”. Successivamente, con la legge 11 luglio 1852, n. 1404, venne creato il “Corpo delle guardie di pubblica sicurezza“, che aveva due compagnie a Torino e a Genova e alcune stazioni più periferiche. La legge 13 novembre 1859, n. 3720, ne estese la competenza territoriale a tutti gli stati (meno la Toscana) che via via andavano annettendosi al Regno di Sardegna; la stessa norma attribuiva il comando delle funzioni di pubblica sicurezza ai questori delle città capoluogo di provincia con più di 60.000 abitanti, e per la prima volta fu istituito il ruolo degli ispettori.
Dopo l’unità d’Italia, col regio decreto 9 ottobre 1861, n. 255 venne creata la “Direzione generale della pubblica sicurezza“, potenziando quindi temporaneamente la struttura, allora cresciuta sino al rango di divisione; l’anno successivo, tuttavia, con l’istituzione del Segretariato generale del ministero dell’Interno, l’amministrazione fu ricondotta al rango di divisione e posta sotto la responsabilità del segretario generale. Le attività del Corpo furono poi distinte, nel 1880, in “polizia amministrativa”, “polizia giudiziaria” e “divisione affari riservati”. Con il regio decreto 3 luglio 1887, n. 4707, il governo Depretis VIII ripristinò la Direzione generale, e nel dicembre del 1890 (ministro dell’Interno Francesco Crispi) dall’unione delle Milizie comunali e del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, nacque il Corpo delle guardie di città.
Nel 1902, durante il governo Giolitti II fu fondata la scuola di polizia scientifica[1] per opera principalmente di Salvatore Ottolenghi, primo studioso delle tecniche di investigazioni scientifiche e allievo del criminologo Cesare Lombroso[2], con a capo lo stesso Ottolenghi.
Il testo unico legge sugli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza emanato durante il governo Giolitti III disciplinò per la prima volta sistematicamente la materia della pubblica sicurezza, stabilendo criteri per l’attribuzione delle funzioni di pubblica sicurezza e indicando coloro ai quali possono essere attribuite; un ruolo centrale fu attribuito al “delegato di pubblica sicurezza”, autorità incaricata di garantire l’ordine pubblico. Nel 1917 fu istituito l’UCI (Ufficio centrale investigazioni), che raccoglieva in parte l’eredità della divisione affari riservati politici e che si sarebbe dedicato ad attività di controspionaggio; il comando fu assegnato a Giovanni Gasti. Con il Regio Decreto 2 ottobre 1919, n. 1790 il presidente del consiglio, Francesco Saverio Nitti sciolse i corpi delle guardie di città e le guardie municipali, che cessarono ogni compito di polizia passando definitivamente alle dipendenze del sindaco per espletare la vigilanza sulle materie di competenza municipale.[3] Furono costituiti il Corpo della regia guardia per la pubblica sicurezza (12 divisioni, 40.000 uomini), a ordinamento militare, deputato al mantenimento dell’ordine pubblico e alquanto svincolato da eventuali influenze della politica, e il Corpo degli agenti investigativi (8.000 uomini), specializzato in compiti di polizia giudiziaria.[4]
Il 31 dicembre 1922 Benito Mussolini, capo del neonato governo, sciolse i due corpi (provocando reazioni violente di una certa gravità da parte delle truppe interessate,)[senza fonte] che furono poi assorbiti all’interno dell’Arma dei reali carabinieri. Nell’ambito della stessa manovra, venne creata la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Tra le ragioni che si sono prospettate per questa scelta, molti studiosi propendono per considerare più verosimile l’esigenza del nuovo presidente del consiglio di sottoporre a più facile controllo tutte le strutture dello Stato (ciò che sarebbe stato poi di maggior evidenza quando tutte le amministrazioni fasciste vennero organizzate in forma paramilitare): se la truppa dei due corpi di polizia era certamente militare, la parte alta della catena gerarchica era invece civile, perciò non sottoposta ai rigori delle regolamentazioni cui soggiacevano gli uomini in divisa, primo fra tutti appunto la rigida concatenazione gerarchica.
La distinzione di un apposito corpo di polizia “specifico” era funzionale al regime fascista, le cariche di diretta emanazione governativa furono perciò mantenute al loro posto, con anzi qualche piccolo intervento che dimostrava un’attenzione costante. Con il regio decreto 11 novembre 1923, n. 2395, la figura del “direttore generale della pubblica sicurezza” fu rinominata (senza peraltro sostanziali modificazioni dal punto di vista funzionale) in “intendente generale della polizia”, subito ricorretta dal regio decreto 20 dicembre 1923, n. 2908, che la convertì all’ancora vigente denominazione di “capo della Polizia”. Nell’aprile del 1925 fu costituito il Corpo degli agenti di pubblica sicurezza, che godeva di minori attenzioni e in un ruolo di secondo piano rispetto e alla crescita MVSN, con la quale durante il ventennio numerose interferenze di competenze o di fatto. Alla ricostituzione del Corpo si giunse però anche perché i carabinieri, di più antiche tradizioni, erano rimasti più fedeli alla corona.
Nel 1926 venne nominato capo della polizia Arturo Bocchini; al quale si deve nel 1930 la creazione dell’OVRA (Organismo di vigilanza per la repressione dell’antifascismo). Questi inoltre introdusse notevoli modifiche organizzative e tecniche nel funzionamento delle questure così da poter allestire agevolmente un’imponente raccolta di dati in tempo reale che a Palazzo Venezia venivano analizzati anche per monitorare il consenso popolare. Fra queste modifiche il cosiddetto “mattinale”, rapporto burocratico contenente dati sulla forza presente e consuntivi dei fatti (crimini, incidenti, altri fatti di rilievo) della giornata precedente; viene generalmente consegnato al destinatario (tipicamente il questore, ma anche responsabili di altri comandi) appunto al momento di prendere servizio la mattina, donde il nome.
Durante il mandato di Bocchini, sotto l’impulso del colonialismo italiano, venne creato un apposito corpo di polizia per i nuovi territori, il Corpo di polizia coloniale, poi rinominato Polizia dell’Africa Italiana (PAI) dotato di uniformi ed equipaggiamenti specifici, e munito in esclusiva del moschetto automatico (pistola mitragliatrice o mitra) Beretta MAB 38. Questi riuscì a gestire una importante e nello stesso tempo delicatissima istituzione, un corpo il cui controllo era ovviamente essenziale per la buona tenuta del governo e che pare egli stesso abbia voluto ricreare, dopo il discioglimento del 1922, al fine di costituirne una sorta di armata a disposizione del governo (il quale peraltro già aveva inquadrato nelle camicie nere elementi dello squadrismo). La polizia dunque era fedele al governo, i carabinieri al re. Bocchini fu perciò il vero autore di una duplicazione delle strutture nazionali militari e di polizia (e di intelligence) che rappresentò al meglio la ragione dei sostanziali equilibri fra la corona e il regime.
In questo ruolo Bocchini era uno dei pilastri fondamentali su cui poggiava l’edificio del regime. Bocchini fu incaricato di eseguire le schedature più delicate degli esponenti più in vista della società italiana del periodo, contribuendo alla creazione del famoso “archivio segreto” di Mussolini[5]. Fu ancora Bocchini a riportare personalmente a Mussolini il gravissimo malcontento popolare causato dalle leggi razziali fasciste.[senza fonte] Si ricorda in proposito, fra i tanti caduti della polizia (attraverso le sue varie denominazioni), il caso di Giovanni Palatucci, funzionario dell’Ufficio stranieri di Fiume, che impedì la deportazione di numerosi ebrei e che per questo fu deportato egli stesso, morirà nel campo di concentramento di Dachau.
Alla morte di Bocchini, avvenuta peraltro in circostanze che qualcuno ha considerato non chiare (anche perché di pochissimo successive alla sua presentazione di un’informativa nella quale si ammoniva Mussolini sullo scarso consenso delle forze armate e della popolazione dinanzi alla possibilità di seguire la Germania nella guerra,[senza fonte] gli successe Carmine Senise, ritenuto da alcuni più vicino a Badoglio, ed al monarca. Anche Senise, in verità, era conscio del malcontento e anzi previde la possibile destituzione di Mussolini da parte di Vittorio Emanuele III, ma riuscì a mantenere la sua figura ben distinta dal regime.[senza fonte]
La seconda guerra mondiale condusse le forze di polizia ad aggiornare le proprie finalità d’impiego, per far fronte a situazioni di ordine pubblico ovviamente eccezionali. Senise fu sostituito nell’aprile del 1943, in occasione di un generale rimpasto delle cariche istituzionali voluto da Benito Mussolini. Questo rimpasto (che privava la corona di un uomo sempre più fidato su una poltrona tanto delicata) è stato considerato da alcuni storici[senza fonte] il vero momento in cui dal Quirinale si decise, avvicinando Dino Grandi, di liberarsi di Mussolini. Dopo la caduta del fascismo Senise fu subito rinominato da Badoglio capo della polizia. Va menzionato che Senise fu una delle pochissime autorità che non seguirono il re e Badoglio nella fuga al Sud dopo l’armistizio di Cassibile e che per questo fu catturato a Roma dai tedeschi e fu deportato in un lager dal quale fu liberato alla fine della guerra. Il 6 settembre 1943, quando l’armistizio era già stato firmato in segreto, prima che ne fosse data notizia pubblica era stata sciolta la MVSN, restituendo alla polizia tutte le sue principali funzioni. Il decreto legislativo luogotenenziale 2 novembre 1944, n. 365, emanato durante la luogotenenza di Umberto II di Savoia, venne nuovamente istituito il “‘Corpo delle guardie di pubblica sicurezza”, con status di corpo militare.
La fine della guerra fu preceduta e seguita da situazioni di grave disagio dell’amministrazione, non in grado di assolvere ai suoi doveri istituzionali con risultati soddisfacenti. La divisione del paese e la guerra civile in Italia, alimentarono enormemente la confusione e l’insicurezza nella penisola, insieme al diffuso banditismo. In più, la polizia sotto la guida di Bocchini si era legata assai intimamente alle vicende governative, e spesso era lontana dalla fiducia della popolazione. Poco prima della liberazione, fu perciò necessario impartire il divieto di appartenenza a partiti politici o sindacati per tutti gli appartenenti al Corpo, onde fugare il sospetto che l’attività di polizia potesse ancora subire “orientamenti”. A questo si univa anche il discusso utilizzo della polizia da parte del governo Badoglio, che la impiegò in modo alquanto spiccio nel contrastare sommosse e tafferugli: le animosità venivano sedate con frequente uso delle armi, provocando decine di morti che compromisero la reputazione presso l’opinione pubblica.
Nonostante la gravità della situazione generale, nel 1945 si diede vita alle specialità della Polizia ferroviaria e della Polizia stradale, il cui primo compartimento fu insediato presso la questura di Milano.
Il dicastero dell’Interno, dopo la liberazione, fu assunto da Giuseppe Romita, che fece anch’egli un uso del Corpo di pubblica sicurezza in seguito considerato discutibile da molte parti. Fu Romita a istituire i “reparti mobili” (meglio conosciuti come Celere,”)[6] ovvero una forza di pronto impiego per l’ordine pubblico. Vennero muniti dei primi manganelli di legno[7] e di alcune Jeep avute in dono dall’esercito statunitense.
Romita tenne in grande considerazione la celere che peraltro impiegò in modo spiccio e, talvolta, disinvolto: in occasione del referendum istituzionale del 1946 per l’opzione fra monarchia e repubblica, la parte monarchica levò gravissime accuse contro la polizia che avrebbe, secondo questa parte, ostacolato la libera tenuta dei suoi comizi, impedendo di fatto la corretta rappresentazione delle ragioni sabaude.[senza fonte]
La nomina a ministro dell’interno di Mario Scelba, nel 1947, determinò una rapida riorganizzazione del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza. Furono dimissionati elementi introdotti alla fine della guerra, come la cosiddetta polizia ausiliaria. La celere, però, crebbe ancora, perfezionando l’equipaggiamento (fu dotata di mitragliatrici pesanti e addirittura di mortai) e distinguendosi come un vero e proprio reparto di pronto impiego militare, idoneo a situazioni belliche che l’insorgente guerra fredda rendeva non improbabili. Allo stesso tempo, l’organizzazione dell’amministrazione veniva rivista e talune specialità venivano distinte in separati servizi direttamente dipendenti dalla direzione generale. Erano fra questi la Polizia postale, la Polizia stradale, la Polizia ferroviaria e la Polizia di frontiera.
Nel dicembre 1959 nacque il Corpo di polizia femminile, composto evidentemente da personale femminile e dedicato a tematiche delicate e di rilievo morale, come la protezione della donna e la tutela dei minori; il corpo, parallelo alla polizia “tradizionale”, aveva anche la funzione pratica di supportare questa per alcuni compiti che non era possibile affidare agli uomini, come ad esempio la perquisizione corporale delle donne. Le prime ispettrici entrarono in servizio nel 1961.
Gli anni sessanta, caratterizzati dai movimenti giovanili e dai cambiamenti della società, che al rifiorire dell’economia univa la revisione dei rapporti sociali, furono guidati nella polizia dalla figura del prefetto Angelo Vicari, che vi lasciò una traccia di fondamentale importanza.
Con Vicari nacque la polizia criminale (“criminalpol“), inizialmente come una divisione per il coordinamento (concetto ancora una volta mutuato da altri corpi stranieri) dell’Interpol con alcuni servizi investigativi interni. Si ebbe inoltre una revisione dell’organizzazione delle scuole di istruzione, costituite in divisione autonoma, e la trasformazione della Scuola superiore di Polizia nell’Accademia di Polizia. In questa si formavano gli ufficiali militari, poiché l’amministrazione risultava divisa, nelle carriere, nella formazione e nelle mansioni, fra le funzioni militari e quelle più propriamente di polizia.
Gli ufficiali furono addestrati e gestiti in modo affine agli ufficiali dei carabinieri e, come per questi, una scelta selezione ne veniva anche inviata presso la Scuola di guerra dell’esercito, per l’esigenza di mantenere aggiornata e coordinata la potenzialità di impiego bellico del Corpo (e soggettivamente per l’accesso ai gradi più elevati).
Nonostante le condizioni del trattato di Parigi fra l’Italia e le potenze alleate imponessero una pesante limitazione del numero di soldati che l’Italia poteva arruolare – che influì anche sugli organici del corpo – nacquero varie specialità, mentre le questure specializzavano apposite squadre dedicate ad alcune tipologie d’impiego: le squadre volanti, mobili, omicidi e molte altre, distinte per competenze. Ci furono però alcuni esempi che diedero un certo prestigio al corpo, come il caso di Armando Spatafora unico autorizzato alla guida in servizio dell’unica Ferrari (250 GT/E) nera, in dotazione alla Squadra mobile di Roma. La prima centrale radio fu insediata alla questura di Milano, dove fu installato un gigantesco apparecchio “Westinghouse 21″ di fabbricazione statunitense; l’iniziale della marca (“W”) veniva resa nel codice radiofonico come “Doppia Vela” e “Doppia Vela 21” divenne perciò il nome in codice della centrale, mentre le auto desumevano i loro nominativi in codice radio dalla marca degli apparecchi di bordo, “Iris”. La centrale era in realtà una sala operativa alla quale cominciarono ad affluire tutte le informazioni necessarie per un pronto intervento nelle aree urbane di competenza, e presto sarebbe diventata il terminale del numero unico di pronto soccorso, il 113.
Anche gli armamenti in dotazione erano alquanto superati; la pistola Beretta M51 sostituì completamente la 34 (e la sua versione in 7,65 browning, la “35“) nel giro di alcuni anni, e tuttavia vi furono talvolta problemi per le cartucce calibro 9 × 19 mm Parabellum. I Beretta MAB 38, i cui caricatori restavano spesso vuoti e la cui funzione era spesso solo quella della deterrenza visiva, essendo del tutto innocui per mancanza di proiettili.
La Polizia di Stato dispone anche di un servizio marittimo, che svolge attività di vigilanza e soccorso alle dipendenze delle competenti Questure. A questo servizio si affianca il Reparto Operativo Sommozzatori, che ha sede a
Durante gli anni settanta si ebbero vertiginose espansioni del crimine e l’intensificarsi di episodi di terrorismo, tentativi di golpe, banditismo (sequestri di persona), contrabbando, traffico di stupefacenti, rapine, estorsioni, fenomeni mafiosi, proliferare del racket delle estorsioni e dell’usura, oltre all’effervescenza politica che per molti anni si tradusse in quotidiani scontri armati fra fazioni politiche e fra questi e il corpo di polizia.
Quest’ultimo punto fu forse il filo conduttore del decennio e trasse origine dagli echi del “maggio francese” (1968), giunti in Italia con un certo ritardo. I movimenti spontanei studenteschi, per lo più inquadrabili in un’area, pur di incerti termini, di sinistra, assunsero il ruolo di opposizione a un sistema la cui effettiva e sostanziale democraticità veniva seriamente posta in discussione. La consapevolezza di essere restati invischiati nella prima ondata della modificazione in senso schiettamente capitalistico e consumistico del sistema economico, fu svolta nel senso di combattere lo Stato che propugnava tale sistema attraverso le sue istituzioni e i suoi simboli, il più evidente dei quali apparivano le forze di polizia italiane.
Dai primi disordini scoppiati alla facoltà di architettura dell’Università di Roma – La Sapienza, si passò a violenze stradali di crescente frequenza in tutte le principali città italiane, che vedevano la polizia costretta in pratica a organizzare vere e proprie azioni anti-guerriglia. Fu accelerato lo studio dei proiettili lacrimogeni, sorta di granate capaci di sprigionare appunto gas lacrimogeno, e per questo i reparti di ordine pubblico furono nuovamente dotati del fucile Carcano Mod. 91, cui venne applicato un piccolo tromboncino per questo tipo di lanci. Furono blindati auto e furgoni (poi chiamati direttamente “blindati”), si trovarono i fondi di bilancio per le pallottole e si introdusse la pistola mitragliatrice Beretta M12. Furono riveduti integralmente i servizi di antisabotaggio e scorta, e le schedature “politiche” furono potenziate. Le uniformi vennero unificate: se prima le forze impiegate in ordine pubblico indossavano il grigioverde, lasciando alle altre la “spezzata” (giubba blu e pantaloni grigio azzurri), tutte ora indossavano quest’ultima e anche i veicoli (prima grigi per l’ordine pubblico e verdi, anzi “verdoni”, per il resto) furono tutti riverniciati con l’innovativa livrea bianco-celeste. Scomparvero le differenze fra le uniformi degli ufficiali e quelle del personale dei ruoli inferiori (sebbene di recente siano state reintrodotte piccole differenze, ad esempio per gli alamari).
In tale contesto si levò la voce contraria di Pier Paolo Pasolini, il quale con cruda onestà riconobbe nei poliziotti, arruolati fra talvolta pericolanti soglie dell’alfabetizzazione, incolpevolmente e spesso inconsapevolmente inviati contro i manifestanti, i veri concreti titolari dei diritti di quel proletariato in nome del quale le azioni di guerriglia venivano scagliate – segnalava il poeta – da giovani “figli di papà”, intenti a combattere pubblicamente una borghesia che forniva loro l’usbergo al quale privatamente rincasavano.
, comprende elicotteri e aerei destinati a impieghi di vigilanza e ricognizione aerea, di soccorso alla cittadinanza, ma anche di trasporto di personale sia per missioni operative che di trasferimento
Indubbiamente, restano di piena vividezza nel dibattito politico i molti casi tuttora controversi, che furono erti a ragioni di bandiera: la morte di Giuseppe Pinelli, ad esempio, come quella del commissario Luigi Calabresi, già al momento in cui avvennero lasciavano prevedere che i rapporti fra una parte della cittadinanza e le istituzioni si sarebbero pesantemente incrinati.
Ma gli eventi riuscirono a superare le previsioni e il terrorismo prese piede, da destra e da sinistra, con stragi, attentati, omicidi e altri crimini (fra i quali le rapine per autofinanziamento), conferendo al decennio il funesto titolo di “anni di piombo“. In questi, la polizia, intesa nell’insieme delle forze dell’ordine, lasciò un gravissimo tributo di vite umane, riguadagnando col sangue la solidarietà della popolazione. L’emergenza fu affrontata dai governi in carica con alcune manovre legislative, che conferivano più elastici poteri agli agenti (ad esempio in materia di fermo di polizia[8]), arroventandosi la polemica sulla legge Reale e sulla supposta “svolta autoritaria”, mentre amministrativamente furono ristrutturate le branche dedicate alla lotta al terrorismo. Nacque l’UCIGOS, operante sul territorio attraverso le DIGOS di ciascuna questura e attraverso i NOCS, corpo d’élite di pronto impiego per operazioni speciali.
Nel 1977 la legge di riordino dei servizi segreti italiani, che da un lato ne centralizzava al governo il controllo politico diretto con la sottomissione al CESIS, ma dall’altro apriva a facilitazioni operative per il coordinamento dell’azione dei servizi e delle polizie, aprì la speranza degli operatori alla prospettiva di una riforma anche della polizia. Funzionari e agenti reclamavano dallo Stato, con voce sempre più pressante, una revisione delle condizioni di lavoro, di inquadramento di carriera, di snellimento e facilitazione delle mansioni, oltre a un miglior rispetto della incombenza di sacrificio in cui si trovavano, peraltro per stipendi indecorosi, per ragione di professione.
, la Polizia di Stato non è più un corpo militare, ma preserva la sua tradizione militare che ha nell’istruzione formale uno dei suoi punti d’onore. Nella foto un impeccabile allineamento alla Festa della Repubblica 2007
All’inizio degli anni ottanta, con la riforma avvenuta dalla legge n. 121 del 1º aprile 1981, (che ebbe tra i promotori il generale Enzo Felsani) venne riorganizzato lo status e la struttura della polizia italiana.
Fino ad allora infatti, sotto il generico termine polizia venivano raggruppati soggetti appartenenti a tre distinte organizzazioni:
Con la riforma queste tre diverse componenti furono fuse nel corpo quale “corpo civile militarmente organizzato” per la tutela dello Stato e dei cittadini da reati e turbative dell’ordine pubblico. Il corpo acquisiva un ordinamento civile (gli alamari non avevano più la stella, simbolo dei corpi militari, sostituita dal monogramma “RI”[9] con arruolamento aperto a uomini e donne. Il divieto di far parte e di iscriversi a organizzazioni politiche o sindacali fu in parte mitigato dalla possibilità di costituire sindacati interni.
In luogo dei gradi furono istituite le qualifiche. Gli Appuntati di P.S. e le Guardie di P.S. assunsero le denominazioni di Assistenti e Agenti, i Sottufficiali di P.S. furono inquadrati, in base al grado rivestito, nei neocostituiti ruoli Ispettori e Sovrintendenti mentre gli Ufficiali di P.S. furono inglobati tra i funzionari e gli ufficiali superiori tra i dirigenti. La riforma introdusse l’organizzazione del personale in 3 differenti ruoli organizzativi: ruolo di polizia, ruolo tecnico/tecnico-scientifico e ruolo sanitario. Inoltre furono anche ridisciplinati i provvedimenti disciplinari avverso gli appartenenti al corpo.
A partire dai primi anni 2000, a seguito ad alcuni avvenimenti quali i fatti della scuola Diaz e dei processi e decisioni giudiziarie sul G8 di Genova, ma anche di alcuni episodi di cronaca nera avvenuti tra il 2005 e il 2006 quali il caso Aldrovandi, e la morte di Riccardo Rasman, in Italia è iniziato un dibattito circa la necessità di poter garantire lo stato di diritto e rendere obbligatorie divise che permettano l’identificazione degli agenti o strumenti di ripresa indossabili dagli stessi.[10]
Nel 2013 e nel 2014 diverse polemiche sorsero in seguito al comportamento durante alcuni processi[11][12] e dopo il rilascio di alcune dichiarazioni di segretari dei sindacati di polizia, come ad esempio il SAP.[13]
A capo della Polizia di Stato è posto un prefetto, con la qualifica di capo della polizia – direttore generale della pubblica sicurezza. Egli è anche Presidente onorario dell’Associazione nazionale Polizia di Stato. L’attuale capo della Polizia è Franco Gabrielli.
Lo affiancano altri tre prefetti con qualifica di vice capo della polizia:
Come previsto dalle regole dell’ordinamento ministeriale, il Dipartimento della pubblica sicurezza è organizzato in direzioni centrali e in uffici di pari livello, anche a carattere interforze. Dal Dipartimento dipendevano anche le Direzioni interregionali della Polizia di Stato – in tutto sette – soppresse ai sensi del, comma 430, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, a decorrere dal 1º dicembre 2007 e le relative funzioni sono ripartite tra le strutture centrali e periferiche della stessa amministrazione, con esse è stata soppressa la qualifica di dirigente generale delle pubblica sicurezza di livello B (equivalente al generale di corpo d’armata). Nelle stesse sedi sono stati istituiti i Servizi tecnico logistici e patrimoniali della Polizia di Stato, diretti da dirigenti superiori (qualifica equivalente al generale di brigata).
La riorganizzazione della Polizia di Stato ha consentito il potenziamento e la ulteriore specializzazione di diverse branche operative, distinte in apposite divisioni o reparti di specialità. Questi dipendono dalle apposite direzioni e uffici tutti inquadrati nel Dipartimento della pubblica sicurezza.
In quanto autorità di pubblica sicurezza, oltre a vigilare sull’ordine pubblico e provvedere al mantenimento della pubblica sicurezza, fornisce soccorso a soggetti pubblici e privati in caso di infortuni, e alla risoluzione pacifica dei dissidi tra privati.[15]
Si occupa inoltre di addestrare presso le sue strutture appartenenti ad altri corpi, come ad esempio per l’ordine pubblico il Corpo Forestale dello Stato e la Guardia di Finanza, e dell’Arma dei Carabinieri per la formazione circa l’attività riguardante la repressione alle infrazione del codice della strada, presso il Centro addestramento della Polizia Stradale (CAPS) sito in Cesena, e per le patenti di guida operativa, difesa personale e addestramento al tiro degli agenti delle varie polizie locali e municipali italiane.
Dal 1º gennaio 2005, con la legge 23 agosto 2004, n. 226 i posti messi a concorso per allievo agente furono riservati, fino al 31 dicembre 2020, a coloro che stiano svolgendo o abbiano svolto un periodo di ferma nelle forze armate italiane come volontari in ferma annuale (VFP1) o quadriennale (VFP4).[16] Per i nati entro il 1985 incluso (salvi i rinvii per studio) era inoltre necessario essere in regola con gli obblighi di leva (il che vuol dire aver prestato il servizio militare in Italia).
Nello specifico, le modalità di accesso al corpo sono tuttora regolate da alcuni decreti del Ministero dell’interno: il D.M 6 aprile 1999 n. 115, il D.M. 2 dicembre 2002 n. 276. I requisiti di idoneità psico-fisica sono stabiliti dal D.M. 30 giugno 2003 n. 198 mentre le materie oggetto della prova d’esame dal D.M. 28 aprile 2005 n. 129. Sono inoltre previsti limiti di età per essere nominato allievo agente di polizia: massimo 30 anni.[17] Al riguardo nel febbraio 2013 è stato pubblicato sul sito della SIULP uno schema di decreto del Ministero dell’Interno che fissa nuovi limiti di età. Tuttavia, fino alla pubblicazione del predetto destinato ad abolire il D.M. 115/1999, restano in vigore le disposizioni di quest’ultimo.[18]
Dopo aver vinto il concorso, bisognerà sostenere obbligatoriamente un corso di formazione, presso una scuola allievi agenti di durata variabile a seconda della qualifica. Una disciplina generale è oggi anche contenuta nel D.Lgs. 15 marzo 2010 n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), che prevede anche riserva in posti nei casi tassativamente indicati dalla legge.[19]
Il personale del corpo, dopo la riforma del 1981, ha la possibilità di iscriversi a sindacati purché siano costituiti da soggetti appartenenti al corpo stesso. Sono tuttavia esclusi il diritto di sciopero e le azioni sostitutive dello stesso, limitatamente però al periodo di servizio, e che comunque possano pregiudicare esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica o le attività di polizia giudiziaria.[20]
Tra i sindacati interni del personale della Polizia di Stato vi sono:
L’ordinamento dei ruoli del personale è disciplinato dal DPR 24 aprile 1982, n. 335.[21] In particolare l’art. 1 prevede i seguenti ruoli:
Il DPR 24 aprile 1982, n. 337.[22] disciplina invece il ruolo che espleta servizio tecnico – scientifico. L’art. 1 prevede i seguenti ruoli equiparabili:
I ruoli del personale direttivo e dirigente sono invece disciplinati dal D.Lgs. 5 ottobre 2000, n. 334, modificato dal D.Lgs. 28 dicembre 2001, n. 477.
Il personale ha in dotazione individuale una pistola d’ordinanza Beretta 92FS (cal. 9×19 mm Parabellum), e come dotazione di reparto, una pistola mitragliatrice Beretta M12 (9×19 mm Parabellum), mentre altri reparti specialistici (es. squadra mobile, SCO, NOCS, reparti mobili, tiratori scelti) hanno accesso a vari tipi di armi o artifizi.
Nel passato sono state utilizzate dalle questure le famose Alfa Romeo Giulia, Alfetta, Alfasud, Giulietta, Alfa Romeo 33, Fiat Marea, Fiat Bravo (nuovo modello), Alfa Romeo 155. Svariate le auto “civetta” (con colori civili e targhe di copertura), anche a causa della possibilità di utilizzare, a tale scopo, vetture confiscate. Recentemente, fra queste erano state annoverate anche delle “supercar”, poi restituite dalla polizia a causa degli eccessivi costi di gestione, che rendevano più opportuno impiegare le scarse risorse a disposizione per la protezione dei cittadini sul territorio e le indagini[28]. Le auto acquistate nuove appaiono in livrea (o in servizio) in genere dopo un lasso di tempo di circa un biennio rispetto al lancio sul mercato della versione civile. Ciò a causa della procedura burocratica di scelta prima, e di gara in tempi più recenti. Le società autostradali hanno nel passato acquistato e dato in comodato alla polizia Alfa Romeo Giulia, Alfetta, Alfa Romeo 90, Alfa Romeo 75, Alfa Romeo 156. Oltre a queste, la polizia ha utilizzato direttamente anche l’Alfa 155, di cui si trovano tuttora alcuni esemplari – versione 16 valvole del 1996 – operativi, utilizzati ormai per compiti non di pronto intervento.
Le auto della polizia operante nei tratti autostradali appartengono alle società che ne hanno la gestione, le quali dispongono quindi liberamente delle vetture a fine carriera. Il corpo di polizia – dal canto suo – metteva all’asta i propri veicoli (dichiarati dismessi e permanentemente inidonei al servizio, dopo una procedura burocratica ad hoc) allorquando le riparazioni necessarie fossero valutate non più convenienti. Spesso, prima di arrivare alla vendita, i veicoli venivano “spostati” e impiegati in compiti sempre meno “stressanti”, così da ottimizzare le risorse: molte volanti, quindi, terminavano la propria carriera dedicandosi a servizi minori (quali consegna posta, trasporti vari, ecc.). L’alienazione di auto civetta e di vetture coi colori d’istituto[29] veniva usualmente destinata a commercianti; alcuni mezzi venivano poi reimmatricolati con targhe civili e rivendute a privati. Dei mezzi ex polizia, però, da qualche anno non è più possibile la reimmatricolazione su strada. Pratica che – del resto – era comunque sempre meno in uso, complice la mutazione del mercato dell’auto in generale, dotato di offerte sempre maggiori e modelli nuovi lanciati con sempre più frequenza.
La Polizia ha iniziato a interessarsi della preservazione del proprio patrimonio automobilistico grazie all’interessamento di alcuni dipendenti (che dettero luogo ad alcune realtà locali, quali la Scuderia delle Pantere Storiche, istituita a Firenze nel 1989)[30]. Oggi, le auto della polizia ritenute maggiormente interessanti sono comunque custodite – quasi un esemplare restaurato per ogni modello utilizzato (manca a oggi, ad esempio, la 155) – e visitabili, presso una realtà istituzionale dedicata: il Museo delle Auto della polizia, fondato in Roma nel 2004[31].
La Polizia di Stato è rappresentata da:
Mostrine con fiamma dorata su campo cremisi alla base della quale vi è il monogramma “RI”[42]; lunghe e ricamate per i funzionari, corte e ricamate per gli ispettori superiori sostituti commissari e di metallo per il restante personale di Polizia.
Nel 2005 la Polizia di Stato contava un totale di 105.324 agenti (di cui oltre 15.000 donne) così ripartiti:[43][44][45][46]
L’organico previsto ammontava a 115.000 uomini (di cui 105.000 agenti del ruolo operativo e 10.000 appartenenti al ruolo tecnico-scientifico e sanitario) ma a causa delle carenze di quest’ultimo il personale complessivo annoverava circa 105.000 unità. Il 15% era costituito da donne.
Poco meno di 6.000 operatori erano distaccati in funzioni tecniche, destinate a fornire supporto logistico e di assistenza tecnica al restante personale. Circa 2.000 agenti risultavano invece assegnati al servizio di polizia di prossimità.
Fonte: http://it.wikipedia.org